“Vedere il mondo in un granello di sabbia e il cielo in un fiore selvatico, tenere l'infinito nel palmo della mano e l'eternità in un'ora.” William Blake
Francesca Bogliolo. Storico e critico d’arte.
Il punto può essere un inizio. Un principio di figurazione microcosmica, che tradotto nel suo contraltare all'interno di un macrocosmo, assuma le dimensioni e le proporzioni di un cerchio. È da un punto che ha origine il disegno e, per esteso, la narrazione della vita. Da un unico elemento, quasi impercettibile, può prendere forma nella mente l'intera Eternità. Questa intuizione, cara al poeta William Blake così come in tempi diversi a Michael Ende e Wolfgang Petersen, era la stessa che guidava la mano di miniatori esperti, curvi su manoscritti medievali, intenti a trovare la modalità grafica più consona per tradurre il pensiero codificato da Giovanni Scoto Eriugena, secondo il quale gli stati interiori dell'uomo sapevano dare forma al mondo esteriore. Un granello di sabbia, nel film “La storia infinita”, sa germogliare, ricreando un mondo perduto: la poesia plasma un universo, sembra ricordarci lo scrittore surrealista nel testo che ispirò la pellicola, se non si rinuncia alla meraviglia. La visione, generata dall'interiorità, accomuna l'uomo medievale e l'uomo di oggi, entrambi intenti a ricercare il senso della propria esistenza all'interno di un flusso mutevole, indicando una via percorribile che inviti a oltrepassare il velo del reale per elevarsi verso la pura verità. In questo processo si inserisce, con poesia e coerenza, l'attività artistica dell'artista abruzzese Mariangela Artese, autrice di una personale quanto complessa cosmogonia, all'interno della quale un'estetica per l'estetica, foriera di una simbolica grazia, si accompagna alla volontà di rendere la linea disegnativa una linea di vita stessa. Memore della lezione grafica estetizzante di Mucha, l'artista sembra rievocarne nei contenuti artistici le parole: “l'arte esiste solo per comunicare un messaggio spirituale”, facendosi creatrice di una sorta di Eden contemporaneo, in cui lo stupore dell'infanzia sia da considerarsi l'unica chiave di accesso.
Nelle serie “Giocando con gli insetti” e “E ci sei anche tu”, gli animali e i vegetali assumono forme simboliche e totemiche, rimandando a relazioni privilegiate con individui o gruppi sociali, cari alla formazione personale dell'artista, che ne sa interpretare per questo con maggiore perizia lo spirito allegorico, rendendoli per chi li guardi di volta in volta guida, sostegno, specchio. L'incanto che si dipana è ininterrotto, secondo una circolarità concettuale che garantisce l'eterno rigenerarsi della vita: emblematica, sotto questo aspetto, risulta la sequenza di opere denominate “Rinascere”. Delicate, leggere, sospese in una dimensione spaziale atemporale, le opere di Mariangela Artese sembrano formarsi da visioni oniriche colme di quiete, in una mente sgombra che, immersa in un profondo stato meditativo, lasci sfumare i contorni del proprio esistere in quelli del mondo naturale che la circonda, come ben celebrato dall'evocativa serie “Yo soy”. Le illustrazioni che prendono forma non possono essere interpretate dunque unicamente come intense, misteriose e contemporanee drôleries, bensì come immagini ibride che, degradando nel fitomorfismo o nello zoomorfismo sappiano ricordare all'uomo la sua essenza insufficiente, indicando nella simbiosi con la Natura l'unica via di salvezza possibile. Per l'artista, il pianeta siamo noi. L'invito a prendersene cura, esplicitato dalla sequenza “Save the planet” non va pertanto inteso come un monito contemporaneo, per quanto attuale. In primis, ciò che l'uomo deve salvare è la propria anima che, se trascurata, rischia di subire le stesse sorti del mondo. L'anelito di speranza resta sotteso, nelle opere di Mariangela Artese, in cui predominano silenzio, armonia, serenità. È la pace del cuore a guidare verso un mondo nuovo, che sia il più possibile antico.
Francesca Bogliolo
“Il messaggio morale ed ecologico sotteso appare immediatamente limpido, comunicato con assoluta chiarezza, generando un' istantanea empatia e un'impressione di ineffabile grazia. Un'arte “facile” dunque? Tutt'altro.”
Claudia Andreotta. Storico e critico d’arte.
Bambini lietamente pensosi ritratti con animali, compagni inseparabili di giochi, o a colloquio con l'immensità imponente della natura sono i protagonisti delle opere di Mariangela Artese. Il messaggio morale ed ecologico sotteso appare immediatamente limpido, comunicato con assoluta chiarezza, generando un' istantanea empatia e un'impressione di ineffabile grazia.
Un'arte “facile” dunque? Tutt'altro. Si tratta del frutto di un calibrato studio della composizione, costituita dai soli elementi essenziali (ricca di dettagli ma senza superfluo decorativismo) condotto in modo che, come scrive Francesco Bocchi nel 1571 la bellezza dell'artifizio non sia palese fattamente, che la troppa fatica duratavi non rechi più tosto agli altrui animi dispiacere e tedio,che diletto e contento- “L'artifizio ”utilizzato dall'artista è il collage digitale.
La tecnica del collage è stata sperimentata negli anni Dieci del Novecento dalle avanguardie che ne intuiscono le potenzialità espressive: immagini preesistenti vengono scomposte, attivando un complesso processo di rilettura semantica del materiale e poi ricomposte in un nuovo oggetto visuale formato da più parti che vengono traslate in un altro universo di significati. In esso il focus è la relazione risultante tra i vari elementi, poiché ognuno di questi perde l'originaria autonomia per acquisirne una nuova basata solo sull'associazione con gli altri.
Le diverse fasi di questo procedimento (raccogliere, selezionare, tagliare, associare, sovrapporre, ricostruire) sono di carattere intellettuale dunque, prima che manuale: e ciò sia sufficiente a frenare il brulicare di pregiudizi sull'arte che ricorre al digitale, poiché se Ernst afferma non è la colla che fa il collage, allora non è certo l'utilizzo del computer a inficiare la legittimità di queste opere (che vengono tra l'altro spesso rielaborate con interventi pittorici).
Come per ogni altra tecnica, anche in questo caso ogni artista che la utilizza genera un linguaggio assolutamente personale, benchè possano trovarsi fattori comuni in differenti autori: l'interconnessione di Mariangela Artese con la natura rimanda a Catie McCann, l'allure retrò a Carolina Chocron e alcune opere floreali alle grafiche digitali di Kristjana S. Williams. Prediletta nelle composizioni dell'americana Susan Lerner è la tematica legata all'oceano, declinata in senso surreale e nostalgico, che invece nelle recenti opere della Artese riprende la comunione tra uomo e natura. Proprio grazie al dislocamento semantico del collage questo concetto può inverarsi materialmente e concettualmente nella compenetrazione dell'essere umano con il mare: diviene plausibile che l'oceano abbia occhi e volto (Gli occhi dell'oceano), che esso possa non solo attraversare ma essere sostanza stessa del corpo come nell'opera Yo soy ola, dove l'identificazione si palesa già dal titolo.
Ulteriore caratteristica del collage è la costruzione di uno spazio non prospettico, anche in composizioni apparentemente lineari come Barchetta di carta dove la bambina potrebbe trovarsi sia immersa nell'acqua sia al di fuori, dietro un vetro di un acquario; l'ambiguità in questo caso coinvolge l'aspetto dimensionale, poiché il giocattolo (posto sulla rena o sul fondale?) appare in una scala aumentata e inoltre viene contraddetta la sua intrinseca idea di leggerezza (nonchè la sua natura stessa di balocco) e libertà data la presenza di un ancora. Ugualmente enigmatica In equilibrio, dove la linea instabile sulla quale la bambina poggia potrebbe essere orizzonte o acqua e dove si travalicano anche i confini degli habitat, con le meduse che si librano in volo fino a lasciare l'universo fisico; si arriva a raggiungere dimensioni oniriche (Portami con te, Guardami ancora, questì'utlima altrettanto spiazzante dal punto di vista spaziale )e a reificare le favole: in Aspettando la pazienza la lentezza “fisica” della tartaruga è tradotta nel suo significato esopico e traslata in qualità dell'umano.
Per l'artista natura ha sempre il ruolo di vera fonte dell'esistere e lo esemplifica con uno dei mezzi costitutitivi del linguaggio pittorico, il colore: la cromia dell'elemento naturale o dell'animale ed è posta sulle figure a bianco e nero in piccolissimi segni, come un tocco sovraumano che fa prendere loro vita. E forse proprio il saper “ritrarre” questo impercettibile ma deflagrante accadere rende così immediata l'opera di Mariangela Artese. Per quanto si possa con le parole rivelarne i meccanismi, il collage (e, in generale, il mistero di ogni creazione) lascia qualcosa che va oltre ciò che è spiegabile, un certo “non so che”, il “no sé qué de los objetos compuestos. En éstos es donde más frecuentemente ocurre el no sé qué, y tanto, que rarísima vez se encuentra el no sé qué en objeto, donde no hay algo de composición. ¿Y qué es el no sé qué en los objetos compuestos? La misma composición. Quiero decir, la proporción y congruencia de las partes, que los componen”Benito Jeronimo Feijoo (Teatro critico universale, 1726).
Claudia Andreotta